Quentin Tarantino, il maestro del cinema postmoderno
I lunghi piani sequenza, i memorabili stalli alla messicana, la strenua battaglia all’immedesimazione dello spettatore, l’uso innovativo della trunk shot, ovvero della ripresa dal bagaglio dell’auto, la non linearità della narrazione, l’estetizzazione della violenza: ovviamente stiamo parlando degli elementi filmici più famosi e caratterizzanti di Quentin Tarantino, regista, sceneggiatore, attore, produttore video, insomma, poliedrico autore che ci ha regalato pellicole geniali, capaci di trasformare la nostra concezione di cinema.
Impossibile, infatti, parlare della produzione cinematografica degli ultimi anni senza citare Quentin Tarantino, per altro fermamente aggrappato ad un’idea di cinema diversa da quella contemporanea. Le sue pellicole sono sempre moderne, modernissime, ma portano in ogni caso con sé un pezzo di anni Settanta, a fare da contorno a tanti elementi narrativi che nessun altro regista saprebbe usare con una simile leggerezza. Nei suoi film i criminali portano ancora coloriti nomi in codice, è possibile viaggiare in aereo con una katana al proprio fianco e, nientepopodimeno, Hitler e Goebbels sono stati uccisi in un cinema parigino da una squadra di soldati americani ebrei. Questo è l’universo cinematografico di Tarantino.
Un cinema dell’eccesso, pieno di situazioni grottesche, che si nutre a sua volta di altro cinema, in un continuo rimando a tutti i b-movies, agli spaghetti-western e ai poliziotteschi italiani divorati da Tarantino ai tempi del suo primo impiego come commesso, nel negozio di noleggio Video Archives. In bilico tra presente e passato, Tarantino non può che essere riconosciuto come il massimo esponente del cinema postmoderno.
Impossibile, infatti, parlare della produzione cinematografica degli ultimi anni senza citare Quentin Tarantino, per altro fermamente aggrappato ad un’idea di cinema diversa da quella contemporanea. Le sue pellicole sono sempre moderne, modernissime, ma portano in ogni caso con sé un pezzo di anni Settanta, a fare da contorno a tanti elementi narrativi che nessun altro regista saprebbe usare con una simile leggerezza. Nei suoi film i criminali portano ancora coloriti nomi in codice, è possibile viaggiare in aereo con una katana al proprio fianco e, nientepopodimeno, Hitler e Goebbels sono stati uccisi in un cinema parigino da una squadra di soldati americani ebrei. Questo è l’universo cinematografico di Tarantino.
Un cinema dell’eccesso, pieno di situazioni grottesche, che si nutre a sua volta di altro cinema, in un continuo rimando a tutti i b-movies, agli spaghetti-western e ai poliziotteschi italiani divorati da Tarantino ai tempi del suo primo impiego come commesso, nel negozio di noleggio Video Archives. In bilico tra presente e passato, Tarantino non può che essere riconosciuto come il massimo esponente del cinema postmoderno.
Lo stile cinematografico di Tarantino
Non si può confrontarsi con il mondo della produzione di video nel nuovo millennio senza conoscere e capire registi come Quentin Tarantino: sarebbe come aprire un ristorante italiano senza saper cucinare un piatto di pasta. Sin dalle prime sceneggiature si denota la maestria del racconto (si pensi a Una vita al Massimo, con la regia di Tony Scott, e al soggetto di Natural born killer, diretto da Oliver Stone).
La sua idea di cinema è già contenuta completamente nel suo primo lavoro alla regia, Le Iene, con una sceneggiatura superba e una narrazione che è tutto fuorché lineare, piena di colpi di scena e di interrogativi che trovano risposta solo alla fine, all’interno di un vero e proprio pastiche di citazioni alla cultura filmica e popolare.
La decostruzione della narrazione ritorna anche in Pulp Fiction – Palma d’Oro a Cannes nel ’94: qui lo smarrimento dello spettatore è totale. Tra tanti, piccoli capolavori di sceneggiatura (dal discorso tra Vincent Vega e Jules Winnfield sul massaggio ai piedi fino a quello del flaschback sull’orologio del capitano Koons) in questa pellicola Tarantino presenta in tutta la sua chiarezza la sua idea di violenza cinematografica, che è puro spettacolo, pura arte, senza traccia di commento sociale o di approfondimento.
Lo sarà ancora di più nel revenge film per eccellenza, ovvero nella ciclopica opera di Kill Bill. Anzi, qui la violenza non è più solo spettacolo, è anche la causa, il motivo scatenante e il motore narrativo della pellicola. Flashback, citazioni colte e popolari, riferimenti alla cultura orientale, un ritmo incalzante, un’ironia pervasiva, violenza spettacolarizzata: se Pulp Fiction è considerato da molti il capolavoro del regista, Kill Bill è senz’altro la sua opera più rappresentativa, non fosse per la ‘capacità’ del formato in due volumi.
E lo stesso stile è rimasto anche nei tre film ‘storici’ confezionati negli ultimi anni dal regista, ovvero l’ucronico Bastardi senza gloria, ambientato in Francia nella Seconda Guerra Mondiale, e i western Django Unchained e The Hateful Eight. La narrazione del passato viene clamorosamente messa in penombra, la storia viene trasfigurata, per lasciar trionfare ancora una volta la spettacolarizzazione e il puro godimento estetico.
Eppure, lo sanno bene gli appassionati di cinema, e lo sa bene soprattutto chi ha a che fare con la produzione professionale di video, i film di Tarantino sono sempre e comunque molto più di quello che possono sembrare ad un primo sguardo. Si prenda il solo Bastardi senza gloria: per fare un film sui nazisti Tarantino si è rifatto a registi Pabst e a Von Sternberg, omaggiando Quel maledetto treno blindato di Castellari, in un’opera che è ‘teorica’ ancora prima che d’azione. Le luci cambiano di continuo, e ogni capitolo della pellicola segue uno suo particolare stile, passando da quello del burlesque a quello noir.
Gli spettatori che per caso vedono un video promozionale, quelli che assistono alla proiezione di un filmato corporate durante un evento aziendale, quelli che guardano con attenzione i particolari e si lasciano trasportare dalla storia, sono gli stessi che si lasciano emozionare dai più grandi registi contemporanei, e per questo motivo nemmeno il più breve dei filmati aziendali dovrebbe mai essere affidato ad una regia inesperta.
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La sua idea di cinema è già contenuta completamente nel suo primo lavoro alla regia, Le Iene, con una sceneggiatura superba e una narrazione che è tutto fuorché lineare, piena di colpi di scena e di interrogativi che trovano risposta solo alla fine, all’interno di un vero e proprio pastiche di citazioni alla cultura filmica e popolare.
La decostruzione della narrazione ritorna anche in Pulp Fiction – Palma d’Oro a Cannes nel ’94: qui lo smarrimento dello spettatore è totale. Tra tanti, piccoli capolavori di sceneggiatura (dal discorso tra Vincent Vega e Jules Winnfield sul massaggio ai piedi fino a quello del flaschback sull’orologio del capitano Koons) in questa pellicola Tarantino presenta in tutta la sua chiarezza la sua idea di violenza cinematografica, che è puro spettacolo, pura arte, senza traccia di commento sociale o di approfondimento.
Lo sarà ancora di più nel revenge film per eccellenza, ovvero nella ciclopica opera di Kill Bill. Anzi, qui la violenza non è più solo spettacolo, è anche la causa, il motivo scatenante e il motore narrativo della pellicola. Flashback, citazioni colte e popolari, riferimenti alla cultura orientale, un ritmo incalzante, un’ironia pervasiva, violenza spettacolarizzata: se Pulp Fiction è considerato da molti il capolavoro del regista, Kill Bill è senz’altro la sua opera più rappresentativa, non fosse per la ‘capacità’ del formato in due volumi.
E lo stesso stile è rimasto anche nei tre film ‘storici’ confezionati negli ultimi anni dal regista, ovvero l’ucronico Bastardi senza gloria, ambientato in Francia nella Seconda Guerra Mondiale, e i western Django Unchained e The Hateful Eight. La narrazione del passato viene clamorosamente messa in penombra, la storia viene trasfigurata, per lasciar trionfare ancora una volta la spettacolarizzazione e il puro godimento estetico.
Eppure, lo sanno bene gli appassionati di cinema, e lo sa bene soprattutto chi ha a che fare con la produzione professionale di video, i film di Tarantino sono sempre e comunque molto più di quello che possono sembrare ad un primo sguardo. Si prenda il solo Bastardi senza gloria: per fare un film sui nazisti Tarantino si è rifatto a registi Pabst e a Von Sternberg, omaggiando Quel maledetto treno blindato di Castellari, in un’opera che è ‘teorica’ ancora prima che d’azione. Le luci cambiano di continuo, e ogni capitolo della pellicola segue uno suo particolare stile, passando da quello del burlesque a quello noir.
Gli spettatori che per caso vedono un video promozionale, quelli che assistono alla proiezione di un filmato corporate durante un evento aziendale, quelli che guardano con attenzione i particolari e si lasciano trasportare dalla storia, sono gli stessi che si lasciano emozionare dai più grandi registi contemporanei, e per questo motivo nemmeno il più breve dei filmati aziendali dovrebbe mai essere affidato ad una regia inesperta.
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